mercoledì 24 settembre 2014

Doping: meglio prevenire che curare!

Con la convocazione da parte della Procura Antidoping del Coni di Carolina Kostner si è tornati a parlare di questo grave problema, che colpisce sempre di più il mondo dello sport.

Il doping consiste “nell'assunzione (o abuso) di sostanze o medicinali con lo scopo di aumentare artificialmente il rendimento fisico e le prestazioni dell'atleta.”* Le motivazioni per fare uso di prodotti o metodi illeciti possono essere tante, dalla riduzione del dolore, all’aumento della massa muscolare e della forza, dalle forti pressioni esercitate da allenatore e genitori alla paura di fallire e di non essere all’altezza. Può sempre esserci un buon motivo, ma si conoscono realmente gli effetti negativi del doping sulla salute?

Filippo Magnini, co-ideatore del movimento “I’m doping free” dice: “Il doping esiste. Negarlo equivale ad ammettere implicitamente che sia invincibile. In questa lotta, il ruolo primario sono la prevenzione, l’informazione e la dissuasione.”

Questo fenomeno, infatti, non è presente solo nello sport ad alto livello, ma si sviluppa sempre di più anche fra atleti non professionisti. Da qui l’importanza di una prevenzione massiccia e diffusa, che non si limiti ai controlli medici e alle eventuali sanzioni, ma che diffonda, attraverso incontri diretti con i giovani atleti, i tecnici e i genitori, tutte le informazioni sui vantaggi (se così si possono chiamare) e gli svantaggi del fare uso di sostanze dopanti, sui danni che provocano alla salute, sia fisica sia psicologica e, soprattutto, su quali sono i veri valori dello sport. 

Le alternative esistono! Risiedono nella pratica intensiva dell’attività fisica, nella pianificazione degli allenamenti, nelle valutazioni dei risultati ottenuti, nella preservazione dei valori educativi dello sport.”

*definizione presa da Wikipedia
Foto da pagina Facebook I'M DOPING FREE

mercoledì 17 settembre 2014

Non c'è rispetto per la psicologia dello sport!

Alcuni giorni fa ho letto un interessante articolo di Jim Taylor, psicologo e professore all’università di San Francisco, intitolato Sport Psychology still doesn’t get the respect it deserves, ovvero La psicologia dello sport non riceve ancora il rispetto che si merita.
Lo psicologo innanzitutto ci chiede di prendere in considerazione i migliori 10 atleti del mondo e dice: “Sono tutti dotati? Sì. Sono tutti in condizioni fisiche eccezionali? Sì. Sono tutti tecnicamente forti? Sì. Hanno tutti la miglior attrezzatura? Sì. E quindi, nel giorno della gara, cosa separa i migliori da quelli che sono vicini, ma che non raggiungono il top? Se tutti i fattori considerati sopra sono uguali, dev’essere quello che passa nella loro mente.”
La parte mentale, però, non è mai considerata al pari dell’allenamento fisico e tecnico. Il dott. Taylor elabora alcune interessanti teorie sul perché di questa scarsa considerazione:
  1. Anche se la psicologia dello sport è un campo di studio da più di 100 anni (negli Stati Uniti), storicamente non rientrava nei programmi sportivi e, se da un lato le vecchie abitudini e i vecchi metodi sono duri a morire, dall’altro le nuove tecniche fanno molta difficoltà ad affermarsi. La speranza è che nasca una nuova generazione di allenatori che, da atleti, hanno seguito un programma di preparazione mentale e ne capiscano l’importanza;
  2. Molti dei migliori atleti del mondo, sono diventati tali senza un allenamento psicologico, poiché sono stati in grado di sviluppare le proprie abilità mentali grazie all’esperienza. Ma per ogni atleta che è in grado di sviluppare da solo le abilità mentali, ce n’è almeno un altro, ugualmente talentuoso e motivato, che ha bisogno di un aiuto per crescere “mentalmente”;
  3. L’allenamento mentale non è così concreto e così facilmente misurabile come le capacità fisiche o tecniche, quindi è più difficile capire su cosa lavorare e quali sono stati i miglioramenti;
  4. Ultimo, ma non meno importante, la psicologia dello sport è spesso associata alla psicologia clinica e all’idea che lo psicologo è il dottore dei pazzi.
Probabilmente ci vorrà ancora molto tempo affinché la preparazione mentale sia messa sullo stesso piano del training fisico e tecnico, ma quando la posta in gioco si alzerà e le competizioni diventeranno sempre più dure, sia gli atleti che gli allenatori cercheranno tutte le possibili opportunità per avere un vantaggio sulla concorrenza e useranno a loro favore tutto ciò che la psicologia dello sport può offrire.

NON VEDO L’ORA CHE VENGA QUEL GIORNO!


Fonte:clicca qui per leggere l'articolo completo di Jim Taylor

Foto: www.huffingtonpost.com/

martedì 9 settembre 2014

Allenare è anche...essere un leader

L’allenatore è il centro di unità e di coesione per il gruppo, deve saper essere un modello per gli atleti e riuscire a creare uno stato d’animo sereno all’interno del team. Come dicevamo nell’articolo precedente si occupa di definire il programma da seguire e di permetterne la sua attuazione, e, infine, rappresenta la squadra tenendo sotto controllo le relazioni interpersonali fra i vari atleti. In una parola, deve essere un leader.

All’interno di un gruppo, il leader è quella persona che è in grado di influenzare positivamente gli altri in modo da aumentare la loro volontà ad impegnarsi per la realizzazione di obiettivi comuni. Perché questo processo di influenza sia realmente efficace, il leader deve essere prima di tutto riconosciuto come tale dagli altri. Quindi la leadership non dovrebbe essere imposta dall’alto, ma è una caratteristica che nasce e si sviluppa all’interno di un gruppo, in base alle caratteristiche del gruppo stesso.

Alcuni autori hanno analizzato i processi cognitivi e affettivi che intercorrono tra il comportamento dell’allenatore e la reazione dell’atleta. I consigli che derivano da tali studi sono quelli di focalizzarsi sul divertimento e sul rinforzo, sull’incoraggiamento nel momento dell’errore e su istruzioni tecniche e correttive; ritengono inoltre importante gestire in maniera appropriata le punizioni e i comportamenti rigidi.

Essi sostengono che queste piccole attenzioni nel comportamento dell’allenatore portano a risultati positivi nella relazione, quali la riduzione della distanza fra allenatore e atleti, e ad una percezione più positiva del coach.

“Un allenatore dovrebbe avere la volontà di cambiare il proprio carattere, se la sua squadra ha bisogno di un tale cambiamento”

J. Velasco

Foto: Google immagini