mercoledì 24 dicembre 2014

venerdì 5 dicembre 2014

Obiettivi di risultato e di prestazione: quali le differenze?

Abbiamo già parlato in un articolo precedente di quanto sia importante, nello sport come nella vita, definire i propri obiettivi, avere una meta a cui puntare. In tal modo sarà più facile dirigere l’attenzione e l’azione sugli aspetti fondamentali, al fine di raggiungere il nostro…traguardo.
La tecnica dell’acronimo S.M.A.R.T. ci aiuta a formulare al meglio i nostri obiettivi, ma va fatta un’altra importante distinzione fra quelli che sono gli obiettivi di risultato (es. vincere i regionali, i nazionali, le olimpiadi…) e quelli di prestazione (es. migliorare il mio tempo/il numero di passaggio fatti bene/il gesto tecnico…).
I primi sono legati, appunto, al risultato, di una gara o di una stagione. La loro caratteristica principale è il fatto di non essere completamente sotto il nostro controllo, poiché i fattori esterni che possono influire sul risultato finale sono molti: il giudizio dell’arbitro, le condizioni ambientali, nonché le prestazioni dei miei avversari, che possono essere migliori delle mie, anche se io ho dato il massimo del mio potenziale.
Gli obiettivi di prestazione, invece, sono in gran parte sotto il nostro diretto controllo, poiché dipendono dal nostro impegno e dalla nostra performance. Sono più tangibili e posso raggiungerli anche non vincendo una gara; in questo modo potrò mantenere alta la motivazione e l’impegno a migliorarmi continuamente.
Ecco perché è importante avere ben chiara la differenza, sia come atleti sia come allenatori o genitori: la persona contro cui dobbiamo vincere siamo noi stessi, nell’ottica di un miglioramento continuo.
Foto: Google immagini

martedì 25 novembre 2014

Cartelloni divertenti o spunti per riflettere?


Si stanno diffondendo sempre di più questi cartelloni contenenti semplici disposizioni per gli spettatori delle competizioni sportive (principalmente genitori dei piccoli atleti). Sono molto carini e alcuni anche parecchio ironici, ma allo stesso tempo dovrebbero farci riflettere. Siamo arrivati al punto di dover mettere per iscritto delle regolette che fino a qualche anno fa erano implicite; affermazioni che qualunque persona potrebbe reputare banali, ma che, evidentemente, se c’è la necessità di scriverle a caratteri cubitali fuori dalle società sportive, tanto scontate non lo sono.

Per aiutarci a riflettere il Panathlon International ha pubblicato la Carta dei doveri del genitore nello sport: prendiamoci qualche minuto per leggerla!

Foto da: Pagina FB di Lega Nazionale Dilettanti 

mercoledì 12 novembre 2014

8 miti che condizionano la nostra idea di sport

Liberamente tratto da "Ripensare lo sport. Come (e perchè) utilizzare lo sport per sviluppare le potenzialità di ogni persona" di Pietro Trabucchi.

Mito n°1: Conta solo la vittoria.
Antidoto: lottare per massimizzare la vostra prestazione, al di là del risultato sportivo che ne scaturirà;
Mito n°2: Quello che è importante è la prestazione in termini assoluti.
Antidoto: siate consapevoli del “principio di Gulliver”, ovvero il giocatore più bravo non è necessariamente quello che esprime i livelli assoluti più elevati della prestazione; il migliore è quello che produce la prestazione più elevata relativamente alle sue condizioni di partenza (età, patrimonio genetico, possibilità di allenarsi, qualità della vita…);
Mito n°3: L’autostima è il prodotto dei propri risultati sportivi.
Antidoto: separate l’immagine che avete di voi stessi dai risultati sportivi, il proprio valore come persona va ben oltre la classifica;
Mito n°4: Allenarsi è una roba da primitivi! Oggi esistono tante cose per andare forte senza dover far fatica!
Antidoto: rinunciate a “scorciatoie”, soluzioni magiche ed altri rimedi onnipotenti; la persona cresce superando le difficoltà, non aggirandole;
Mito n°5: Bisogna a tutti costi evitare di perdere o di sbagliare.
Antidoto: sfruttiamo errori e sconfitte per stimolare la crescita delle nostre risorse;
Mito n°6: Lo sport è per i giovani.
Antidoto: picchiate forte sul mito che, invecchiando, si debba smettere di allenarsi duramente, lo sport dura tutta la vita e quello che si perde come “fisico”, spesso con l’età viene riguadagnato sotto forma di mentale;
Mito n°7: Lo sport è questione di fisico. Cosa c’entra la testa? Siamo mica matti!
Antidoto: non dimenticate che lo sport non è solo corpo, in quel corpo c’è anche parecchia mente! La divisione mente corpo è illusoria, in realtà è un insieme indivisibile;
Mito n°8: Gli avversari da battere sono gli altri.
Antidoto: sappiate che l’avversario sono i propri limiti, competere contro quelli altrui è solo divertimento.

martedì 4 novembre 2014

Positivity challenge: sfida con gli altri o con se stessi?

Sta girando da un po’ di tempo su facebook una moderna catena di sant’Antonio, chiamata Positivity challenge. La persona “nominata” o, in questo caso taggata, deve scrivere per cinque giorni tre cose positive che sono successe durante la giornata, invitando a sua volta altre due persone a farlo.

Il compito è molto semplice e potrebbe sembrare quasi banale, ma questo piccolo giochetto può essere molto più utile di quanto sembri. Dovendo trovare ogni giorno tre cose belle che ci sono capitate ci “costringiamo” a fermarci a riflettere, a rivivere la nostra giornata, a vedere ciò che è stato positivo e ciò che è stato negativo, i risultati raggiunti o gli errori fatti. In tal modo, da un lato, possiamo diventare consapevoli di alcuni aspetti che per via della frenesia di questo mondo spesso tendono a sfuggirci, dall’altro possiamo anche dedicare a noi stessi cinque preziosissimi minuti, cosa che spesso dimentichiamo di fare.  

La vera sfida ora è non limitarsi a farlo per cinque giorni e su un social network (che rende il tutto molto poco intimo e riservato), ma trasformare questo semplice esercizio in un’abitudine quotidiana. Prendiamoci un quadernetto da tenere sul comodino e ogni sera, prima di andare a dormire, concediamoci cinque minuti per trovare tutti i lati positivi delle ultime 24 ore. Ci aiuterà a vedere come anche quella che ci può sembrare una pessima giornata, possa nascondere piccoli gesti, momenti o persone che ci strappano un sorriso o che ci fanno stare meglio. E chi lo dice che non ci aiuta anche ad avere sonni migliori?

Non pensare “sì dai, domani lo faccio”, inizia stasera, inizia ora se hai già qualcosa di bello da scrivere. La sfida adesso non è con i tuoi amici di facebook, è con te stesso! Se hai dimostrato agli altri che lo puoi fare per cinque giorni, dimostra a te stesso che lo puoi fare per un mese, nell’intimità del tuo quadernetto.

Accetti la sfida? Scrivilo nei commenti!

Foto da Google immagini

martedì 28 ottobre 2014

Seminario: Movimento e Benessere

Ottobre per la Sipap (Società Italiana Psicologi Area Professionale) è sinonimo di Mese del Benessere Psicologico. Di cosa si tratta? È una campagna di sensibilizzazione e promozione della cultura del benessere della persona che punta a migliorare la qualità della vita.

All’interno di questa iniziativa condurrò, insieme al collega Nicola Delladio, un seminario gratuito dal titolo “Movimento e benessere: la psicologia applicata allo sport”.

Durante la serata saranno introdotti i temi della psicologia dello sport e del benessere, cercando di capire come essa possa essere utilizzata non solo per migliorare le prestazioni sportive, ma anche come possa aiutare a fare dell’attività motoria uno strumento educativo, di sviluppo e di crescita personale.

Una serata, quindi, che può essere di interesse sia per le persone che fanno parte di società sportive e palestre (atleti, allenatori, dirigenti, genitori…), sia per coloro che lavorano in ambito educativo e sociale (insegnanti, dirigenti scolastici, educatori…). O semplicemente per i più curiosi!!

Siete tutti invitati giovedì 30 ottobre alle ore 20.30 presso la Sala della Fondazione Caritro in Piazza Rosmini, 5 a Rovereto. 

Non dimenticatevi di prenotarvi cliccando qui!

Foto: google immagini

mercoledì 22 ottobre 2014

La metafora del pomodoro

La maggior parte delle cose cresce se viene coltivata. Hai mai piantato un seme di pomodoro? Se copri il tuo seme con della buona terra scura e ricca di nutrienti, lo annaffi e ti assicuri di mettere il vaso in piena luce, ben presto vedrai comparire un germoglietto verde. Se gli dai acqua tutti i giorni, il germoglio diventerà una pianta, con un grosso stelo, tante foglie e dei fiori. Poi, un giorno, comparirà un bel pomodoro. Se continui a coltivare la tua pianta, vedrai crescere sempre più pomodori e presto ne avrai così tanti da essere costretto ad andare in biblioteca a prendere in prestito un libro di cucina per preparare il sugo e il passato di pomodoro.
Nella sua semplicità questa metafora nasconde un messaggio ben più profondo dell’imparare a fare un buon sughetto: “la maggior parte delle cose cresce se viene coltivata”.  
L’ansia, le preoccupazioni, i pensieri negativi sono proprio come i pomodori, nascono e si sviluppano, semplicemente prestando loro attenzione, dedicando loro il nostro tempo prezioso.  
Ma se coltivassimo un po’ più i nostri fiori e un po’ meno le nostre preoccupazioni?

Immagine: da Google immagini

Fonte: Anche tu ti preoccupi troppo? di D. Huebner (Ed. Erickson, TN)

giovedì 16 ottobre 2014

Due eventi in Trentino!

Vorrei segnalare due eventi che si terranno nel week end:
SENZA OSTACOLI - Workshop Sport e Disabilità: organizzazioni, associazioni e pratiche sportive: opportunità, confini e criticità.
Sabato 18 ottobre a Sanbapolis in Via della Malpensada, ci sarà una giornata dedicata all’esplorazione del binomio disabilità e sport, con conferenze, tavole rotonde e la possibilità di conoscere, ed anche provare, le discipline sportive rivolte alle persone con disabilità.
Clicca qui per accedere alla pagina Facebook dell’evento!!
SPORT EXPO TRENTINO – La prima festa dello sport giovanile in Trentino. Un week end dedicato a bambini e ragazzi dai 4 ai 14 anni, i quali avranno la possibilità di provare e sperimentare oltre 20 discipline sportive differenti.
Si svolgerà sabato 18 dalle 14.30 alle 19 e domenica 19 dalle 9 alle 19 a Riva del Garda presso il quartiere fieristico.
Clicca qui per accedere al sito dell’evento!!

Entrambi gli eventi sono ad ENTRATA LIBERA E GRATUITA!!

martedì 14 ottobre 2014

Alleniamoci a...respirare: un esercizio pratico

Sul sito eurosalus.com ho trovato un semplice esercizio di respirazione diaframmatica, utile per iniziare la giornata con il piede giusto e per concluderla concedendoci un po’ di coccole:
  • trovate un posto comodo e indisturbato e sdraiatevi sulla schiena, allargando leggermente le gambe;
  • appoggiate la mano destra appena al di sotto dell’ombelico e la sinistra sul torace;
  • inspirate attraverso il naso, contando lentamente fino a quattro, lasciando gonfiare l’addome e facendolo salire di alcuni centimetri, senza muovere il tronco. Inspirando, immaginate l’aria calda che entra e il calore che arriva in ogni parte del vostro corpo;
  • fate una pausa di 1 secondo;
  • espirate dolcemente contando fino a quattro, abbassando l’addome. Espirando, immaginate che, insieme all’aria, scivolino fuori dal corpo tutte le tensioni;
  • rimanete sempre concentrati sulla respirazione, notando quale mano sale e scende ad ogni respiro;
  • ripetete il tutto più volte, finché non vi sentite profondamente rilassati.
Eseguite l'esercizio per 5-15 minuti, al mattino e prima di coricarvi tutti i giorni.
Foto: Google immagini

martedì 7 ottobre 2014

Un respiro...di benessere

La respirazione è il gesto più naturale del mondo, è la nostra prima azione quando nasciamo, eppure, fra le persone adulte, ce ne sono ancora moltissime che respirano in maniera errata.

Una corretta respirazione può portare molti benefici al nostro corpo e alla nostra mente: aiuta ad essere più tranquilli, a mantenere basso il livello di stress, perfeziona la postura e porta ad un linguaggio del corpo più positivo (con un conseguente miglioramento delle nostre relazioni interpersonali).

Respirare con il torace è tanto comune quanto scorretto, poiché in tal modo si sviluppa un blocco del diaframma, il muscolo respiratorio più importante e quello che, se utilizzato al meglio, ci permette di ridurre le tensioni e di rilassarci.

Come faccio a capire se la mia respirazione è corretta? Ecco un semplice esercizio:
mi sdraio supino sul letto o su un tappetino per gli esercizi di fitness, e cerco una posizione comoda (non devo sentire tensioni sulla colonna vertebrale); appoggio una mano sul petto e una sulla pancia (appena sotto l’ombelico) e inizio a respirare in maniera naturale; osservo il movimento delle mie mani: quale delle due si alza di più?
Dovrebbe muoversi soltanto quella posta sull’addome; infatti per una respirazione corretta è fondamentale che sia la pancia a gonfiarsi e non il petto, in questo modo il diaframma lavora in maniera adeguata. Esercitandomi quotidianamente per una decina di minuti posso rendere naturale la respirazione diaframmatica e fare di essa uno strumento di rilassamento e distensione. 

Foto: da Google immagini

giovedì 2 ottobre 2014

I comandamenti per gli allenatori dei piccoli atleti

Abbiamo parlato dei 10 comandamenti per i genitori dei piccoli atleti, ora, per par condicio, diamo qualche indicazione (assolutamente non esaustiva) anche agli allenatori. Ricordiamoci innanzitutto che lo sport condiziona moltissimo lo sviluppo del bambino ed è importante che questa influenza sia positiva e lo aiuti a crescere come persona, oltre che come atleta. 

  1. Alleniamo i bambini attraverso il gioco e lasciamoli liberi di sperimentare. Ricordiamoci che fino ai 10-12 anni lo sport deve essere soprattutto divertimento, e non una semplice imitazione del gesto tecnico. Prendiamo spunto dai movimenti dei nostri piccoli atleti per inventare nuovi esercizi tecnici;
  2. Alleniamoli a pensare, a decidere, a fare e provare senza avere paura di sbagliare o di essere giudicato; abituiamoli ad essere autonomi, a prendere l’iniziativa, a ragionare sulle richieste che facciamo loro, a proporre;
  3. Insegniamo loro a rispettare le regole, poiché a quelle dovranno adeguarsi nella vita adulta. Iniziamo con poche indicazioni, per lasciarli liberi di far uscire la loro fantasia e la loro creatività. Molto spesso arrivano da soli alla soluzione ottimale, senza dovergliela necessariamente indicare per filo e per segno. Incrementiamo le regole con l’aumentare dell’età e della loro capacità di seguire tali istruzioni;
  4. Rispettiamo noi stessi le regole e i compiti, solo in questo modo possiamo essere dei modelli credibili. Teniamo noi stessi il comportamento che vorremmo vedere nei nostri atleti: gran parte dell’apprendimento, infatti, avviene per imitazione;
  5. Aiutiamoli a sviluppare un sentimento sociale e di collaborazione: i bambini sono molto individualisti, fino agli 11-12 non riescono a capire del tutto l’utilità di un clima cooperativo, ma questo non esclude che dobbiamo allenarli al gruppo e alla squadra (anche negli sport individuali: il supporto del team è fondamentale anche in questi).

Ho preso spunto da: "Allenare i bambini allo sport e alla vita" di Vincenzo Prunelli
Foto da Google immagini

mercoledì 24 settembre 2014

Doping: meglio prevenire che curare!

Con la convocazione da parte della Procura Antidoping del Coni di Carolina Kostner si è tornati a parlare di questo grave problema, che colpisce sempre di più il mondo dello sport.

Il doping consiste “nell'assunzione (o abuso) di sostanze o medicinali con lo scopo di aumentare artificialmente il rendimento fisico e le prestazioni dell'atleta.”* Le motivazioni per fare uso di prodotti o metodi illeciti possono essere tante, dalla riduzione del dolore, all’aumento della massa muscolare e della forza, dalle forti pressioni esercitate da allenatore e genitori alla paura di fallire e di non essere all’altezza. Può sempre esserci un buon motivo, ma si conoscono realmente gli effetti negativi del doping sulla salute?

Filippo Magnini, co-ideatore del movimento “I’m doping free” dice: “Il doping esiste. Negarlo equivale ad ammettere implicitamente che sia invincibile. In questa lotta, il ruolo primario sono la prevenzione, l’informazione e la dissuasione.”

Questo fenomeno, infatti, non è presente solo nello sport ad alto livello, ma si sviluppa sempre di più anche fra atleti non professionisti. Da qui l’importanza di una prevenzione massiccia e diffusa, che non si limiti ai controlli medici e alle eventuali sanzioni, ma che diffonda, attraverso incontri diretti con i giovani atleti, i tecnici e i genitori, tutte le informazioni sui vantaggi (se così si possono chiamare) e gli svantaggi del fare uso di sostanze dopanti, sui danni che provocano alla salute, sia fisica sia psicologica e, soprattutto, su quali sono i veri valori dello sport. 

Le alternative esistono! Risiedono nella pratica intensiva dell’attività fisica, nella pianificazione degli allenamenti, nelle valutazioni dei risultati ottenuti, nella preservazione dei valori educativi dello sport.”

*definizione presa da Wikipedia
Foto da pagina Facebook I'M DOPING FREE

mercoledì 17 settembre 2014

Non c'è rispetto per la psicologia dello sport!

Alcuni giorni fa ho letto un interessante articolo di Jim Taylor, psicologo e professore all’università di San Francisco, intitolato Sport Psychology still doesn’t get the respect it deserves, ovvero La psicologia dello sport non riceve ancora il rispetto che si merita.
Lo psicologo innanzitutto ci chiede di prendere in considerazione i migliori 10 atleti del mondo e dice: “Sono tutti dotati? Sì. Sono tutti in condizioni fisiche eccezionali? Sì. Sono tutti tecnicamente forti? Sì. Hanno tutti la miglior attrezzatura? Sì. E quindi, nel giorno della gara, cosa separa i migliori da quelli che sono vicini, ma che non raggiungono il top? Se tutti i fattori considerati sopra sono uguali, dev’essere quello che passa nella loro mente.”
La parte mentale, però, non è mai considerata al pari dell’allenamento fisico e tecnico. Il dott. Taylor elabora alcune interessanti teorie sul perché di questa scarsa considerazione:
  1. Anche se la psicologia dello sport è un campo di studio da più di 100 anni (negli Stati Uniti), storicamente non rientrava nei programmi sportivi e, se da un lato le vecchie abitudini e i vecchi metodi sono duri a morire, dall’altro le nuove tecniche fanno molta difficoltà ad affermarsi. La speranza è che nasca una nuova generazione di allenatori che, da atleti, hanno seguito un programma di preparazione mentale e ne capiscano l’importanza;
  2. Molti dei migliori atleti del mondo, sono diventati tali senza un allenamento psicologico, poiché sono stati in grado di sviluppare le proprie abilità mentali grazie all’esperienza. Ma per ogni atleta che è in grado di sviluppare da solo le abilità mentali, ce n’è almeno un altro, ugualmente talentuoso e motivato, che ha bisogno di un aiuto per crescere “mentalmente”;
  3. L’allenamento mentale non è così concreto e così facilmente misurabile come le capacità fisiche o tecniche, quindi è più difficile capire su cosa lavorare e quali sono stati i miglioramenti;
  4. Ultimo, ma non meno importante, la psicologia dello sport è spesso associata alla psicologia clinica e all’idea che lo psicologo è il dottore dei pazzi.
Probabilmente ci vorrà ancora molto tempo affinché la preparazione mentale sia messa sullo stesso piano del training fisico e tecnico, ma quando la posta in gioco si alzerà e le competizioni diventeranno sempre più dure, sia gli atleti che gli allenatori cercheranno tutte le possibili opportunità per avere un vantaggio sulla concorrenza e useranno a loro favore tutto ciò che la psicologia dello sport può offrire.

NON VEDO L’ORA CHE VENGA QUEL GIORNO!


Fonte:clicca qui per leggere l'articolo completo di Jim Taylor

Foto: www.huffingtonpost.com/

martedì 9 settembre 2014

Allenare è anche...essere un leader

L’allenatore è il centro di unità e di coesione per il gruppo, deve saper essere un modello per gli atleti e riuscire a creare uno stato d’animo sereno all’interno del team. Come dicevamo nell’articolo precedente si occupa di definire il programma da seguire e di permetterne la sua attuazione, e, infine, rappresenta la squadra tenendo sotto controllo le relazioni interpersonali fra i vari atleti. In una parola, deve essere un leader.

All’interno di un gruppo, il leader è quella persona che è in grado di influenzare positivamente gli altri in modo da aumentare la loro volontà ad impegnarsi per la realizzazione di obiettivi comuni. Perché questo processo di influenza sia realmente efficace, il leader deve essere prima di tutto riconosciuto come tale dagli altri. Quindi la leadership non dovrebbe essere imposta dall’alto, ma è una caratteristica che nasce e si sviluppa all’interno di un gruppo, in base alle caratteristiche del gruppo stesso.

Alcuni autori hanno analizzato i processi cognitivi e affettivi che intercorrono tra il comportamento dell’allenatore e la reazione dell’atleta. I consigli che derivano da tali studi sono quelli di focalizzarsi sul divertimento e sul rinforzo, sull’incoraggiamento nel momento dell’errore e su istruzioni tecniche e correttive; ritengono inoltre importante gestire in maniera appropriata le punizioni e i comportamenti rigidi.

Essi sostengono che queste piccole attenzioni nel comportamento dell’allenatore portano a risultati positivi nella relazione, quali la riduzione della distanza fra allenatore e atleti, e ad una percezione più positiva del coach.

“Un allenatore dovrebbe avere la volontà di cambiare il proprio carattere, se la sua squadra ha bisogno di un tale cambiamento”

J. Velasco

Foto: Google immagini

giovedì 28 agosto 2014

Finalmente tocca a me...vacanzee!!

Ci rivediamo dopo l'8 settembre con nuovi post, nuovi argomenti e nuovi progetti.

Buone vacanze a chi, come me, le deve ancora fare!


martedì 26 agosto 2014

Allenare è anche...organizzare

Continuiamo l’approfondimento dei ruoli e delle funzioni dell’allenatore, parlando oggi del compito di organizzatore.

In questo caso il coach ha l’incarico di definire e condividere degli obiettivi a breve, medio e lungo termine sia per la squadra sia per ogni atleta che la compone. Egli può fare questo solo dopo aver valutato e analizzato tutte le risorse disponibili e il tempo a sua disposizione.

Inoltre riporto (e condivido) alcuni punti tratti dal libro Viaggio nel mondo dell’allenatore di Peterson, Bauer e Tiburzio, nel quale gli autori riassumono molto bene quelle che, secondo loro, sono le responsabilità dell’allenatore nella gestione del team di atleti:
  • sviluppare il senso di appartenenza, per far sì che allenatore e atleti si sentano una forza collettiva;
  • fissare obiettivi comuni, chiari, realistici e condivisi (fondamentale per la coesione del gruppo);
  • definire per ogni atleta un ruolo e specificarne mansioni e responsabilità;
  • utilizzare il rinforzo positivo ed evitare punizioni e sanzioni che aumentano inutilmente la paura dell’errore (riducono la motivazione, l’autostima e la possibilità di apprendere);
  • favorire la partecipazione;
  • trattare tutti allo stesso modo: valutare con gli stessi criteri e senza favoritismi;
  • premiare i comportamenti altruistici e i “sacrifici” fatti dai singoli per il bene della squadra;
  • smorzare i comportamenti individualistici;
  • promuovere occasioni per stare insieme anche al di là di allenamenti e gare.
Foto: Google immagini

martedì 19 agosto 2014

Allenare è anche...educare

Come dicevamo nell’articolo “Chi è l’allenatore?”, il tecnico deve essere, prima di tutto, un educatore e un formatore. Insieme a genitori e ad insegnanti è, infatti, una figura fondamentale per lo sviluppo dell’atleta, sia come sportivo sia come persona.

Il coach è la figura di riferimento dentro il campo (“campo” inteso come luogo dove si pratica la disciplina scelta) e si occupa dello sviluppo delle competenze individuali dell’atleta, da quelle fisiche e sportive a quelle cognitive e relazionali.

Occuparsi di più sportivi, spesso con età, sesso o livelli differenti, porta l’allenatore a confrontarsi con molte individualità e a dover, quindi, plasmare il proprio modo di relazionarsi in base alla persona che ha di fronte. Non esiste, infatti, un metodo unico e perfetto di allenare, esistono atteggiamenti diversi per persone e luoghi differenti.

Il tecnico, inoltre, dovrebbe (pre)occuparsi di tenere alta la motivazione al gioco, in quanto senza di essa non vi è apprendimento e, probabilmente, neppure divertimento. Fondamentale quest’ultimo soprattutto (ma non solo) se si tratta di atleti giovani: il momento sportivo dev'essere un momento piacevole, con obiettivi chiari, esercizi diversificati e momenti di competizione, ma anche di gioco.

Non dimentichiamoci, infine, che se l’allenatore è la figura educativa dentro il campo, il genitore lo è fuori da esso, in un continuum formativo che dovrebbe prevedere momenti di confronto e di scambio di idee. Gli incontri con i genitori, spesso sottovalutati, possono facilitare il lavoro all'allenatore e migliorare il rapporto fra le varie figure che girano attorno all'atleta, il quale indirettamente ne trarrà certamente un vantaggio

Foto: Google immagini

martedì 12 agosto 2014

La mia avventura all'ITAS BIG camp

Oggi post speciale dedicato ad un esperienza lavorativa che, come si dice, ha lasciato il segno.

Parlo della mia partecipazione, come psicologa dello sport, agli ITAS BIG Camp, cinque settimane di camp organizzate dalla Trentino Volley in cui ragazzi di tutta Italia, e di tutto il mondo, appassionati di pallavolo, hanno la possibilità di giocare e di allenarsi su campi da Beach, Indoor e Green volley (da qui il nome BIG), seguiti da un team di tecnici tutto da invidiare.

Il mercoledì sera era il “mio” momento e, insieme ad un gruppo di circa 20 ragazzi, abbiamo affrontato diversi argomenti della psicologia dello sport. Attraverso divertenti giochi e semplici esercitazioni si è parlato di attenzione e concentrazione, di dialogo interno, dell’importanza della comunicazione all’interno della squadra e delle motivazioni che ci spingono a “sacrificare” il nostro tempo per uno sport.

Ho trovato ragazzi molto curiosi, attenti e desiderosi di nuove conoscenze, ma anche ragazzi un po’ più timidi o solo un po’ più silenziosi (e stanchi!). Alcuni giochi sono piaciuti, altri un po’ meno, ma nel complesso, dai brevi questionari compilati a fine incontro, è emerso un grande entusiasmo e un grande interesse per gli argomenti trattati.

Un bilancio più che positivo quindi, dovuto anche alla splendida accoglienza che mi riservavano gli allenatori ogni settimana. Ho riscontrato un forte coinvolgimento anche da parte loro e questo mi ha dato ancora più forza per credere nel lavoro che faccio e nell’importanza della componente mentale nello sport.

Concludendo ne approfitto per ringraziare Dario e Francesco, coordinatori del team di tecnici, nonchè tutti i tecnici e, last but not least, Iris, la persona che mi ha dato l’opportunità di vivere questa splendida avventura.


Foto: Google immagini
Video: Youtube