martedì 1 aprile 2014

10 comandamenti per i genitori dei piccoli atleti


Entrando in una palestra, pochi giorni fa, ho notato un cartello sulla bacheca degli annunci; riportava queste dieci regolette* per i genitori degli atleti della palestra: 

  1. Non imporre le tue ambizioni a tuo figlio: ricorda che ogni bambino migliora e progredisce seguendo i suoi tempi, quindi non giudicare i progressi di tuo figlio confrontandolo con le prestazioni di altri atleti o con le tue aspettative.
  2. Sii di supporto a tuo figlio: c'è solo una domanda che devi porre a tuo figlio a fine allenamento o a fine gara: “Ti sei divertito?”; poiché se non si diverte non sarà motivato a partecipare.
  3. Non cercare di sostituire l'allenatore: il tuo lavoro è quello di dare amore incondizionato e supporto. Dì a tuo figlio quanto sei fiero di lui e lascia la parte tecnica all'allenatore.
  4. Dì solo cose positive durante le gare: devi essere incoraggiante e non criticare mai tuo figlio o il suo allenatore, perché entrambi sanno se e quando hanno commesso errori.
  5. Riconosci e rispetta le paure di tuo figlio: la prima gara può essere una situazione molto stressante ed è normale che il tuo bambino sia spaventato. Non sgridarlo e non sminuire i suoi sentimenti, assicuralo che l'allenatore non lo avrebbe fatto partecipare, se non lo ritenesse in grado. Ricordati anche che la maggior parte delle sue paure sono quelle che tu gli trasmetti.
  6. Non criticare gli accompagnatori: se non sei interessato o non hai il tempo per aiutare lo staff come volontario, non criticare chi sta facendo tutto il possibile per dare una mano.
  7. Stima l'allenatore di tuo figlio: il legame fra l'allenatore e l'atleta è speciale e contribuisce al successo e al divertimento del tuo bambino, quindi non criticare l'allenatore in sua presenza, perché lo ferirà.
  8. Sii leale e di supporto alla squadra: non è saggio continuare a spostare il bambino da una squadra all'altra, ogni team ha i suoi problemi, anche quelli in cui crescono campioni.
  9. Tuo figlio non deve avere come unico obiettivo quello di vincere: i campioni sono quelli che hanno saputo concentrarsi sull'allenamento, più che sul risultato. 
  10. Non aspettarti che tuo figlio diventi un atleta olimpico: pensa a quanti atleti che praticano lo sport di tuo figlio ci sono in Italia, e a quanti posti sono disponibili ogni 4 anni: le possibilità reali che tuo figlio diventi un atleta olimpico sono lo 0,00...%. Fare sport è molto più delle Olimpiadi, aiuta a crescere persone oneste e civili, proprio come tu vorresti tuo figlio, quindi sii contento anche solo del fatto che voglia cimentarsi nello sport.
E voi? Come vi comportate nei confronti del vostro piccolo atleta?
E gli allenatori, cosa ne pensano dell'atteggiamento dei genitori dei loro allievi?

*Liberamente tratto e tradotto da “10 commandments for swimming parentsdi Rose Snyder, Managing Director Coaching Division, USOC Former Director of Club Services, USA Swimming (a sua volta adattato da Ed Clendaniel's,”10 Commandments for Little League Parents”)

Immagine: Google immagini

9 commenti:

  1. credo che il migliore sia il secondo con la domanda: "ti sei divertito?"
    Troppo spesso infatti lo sport diventa un qualcosa di stressante che fa irritare e deprimere. Non è facile accettare ciò che si è, in generale. Nello sport tutti vorrebbero vincere ed essere i migliori ma quelli davvero bravi, in ogni disciplina, sono pochi. Bisognerebbe insegnare che non è che se non si è un fenomeno allora si è una persona "scarsa"!!! Accettare i propri limiti è il primo passo per migliorarsi

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  2. Esattamente...accettare i propri limiti e accettare lo sport come qualcosa che va oltre la gara e la vittoria, perché lo sport è molto altro!
    Grazie del commento!

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  3. "ti sei divertito?"

    Cari, credo che il problema principale è quello dell’ansia, perché il gareggiare non è tanto l’espressione, ma fa avere all’atleta una dimensione di programmazione su di lui, quindi ci si aspetta da lui che faccia determinate cose. Quindi non esprime, ma è compresso ,se la compressione chiude la persona, la persona si trova ad essere frustrata e la frustrazione produce l’aggressività e l’aggressività quando è eccessiva si ritorce su se stessi, per cui può avere anche una sorte di debacle..ha una sorte di crollo, la resa non è più proporzionata perché c’è un arco, una sorte di legge psicologica in forza della quale maggiore è l’attenzione maggiore e il rendimento, ma se l’attenzione diventa tensione il rendimento si blocca..se diventa ansia addirittura retrocede q...uello che è il rendimento e si arriva al panico..il rendimento va a diventare deteriore fino a diventare disperazione quando uno non produce più niente diventa un azzeramento del rendimento, quindi la caratteristica della nevrosi d’ansia propria dell’atleta avviene quando c’è un aspettativa maggiore di quella che è la possibilità. Se si riduce l’escursione assiologica, cioè quello che è la sua capacità reale e quello che deve essere quando si riduce, allora il soggetto rende ancora di più.
    Insomma ci deve essere apertura al cambiamento, ma non deve essere eccessiva, altrimenti si cede nella resa.
    Normalmente quando si è atleta, si pigia eccessivamente con l’aspettativa, il soggetto si sente sovraccaricato quindi va in ansia. L’ansia è proprio questo scarto che c’è tra la situazione possibile e quello che si richiede. Non si riesce ad avere la dimensione della coniugazione tra il reale ed ideale, lungo la linea del possibile, la possibilità significa che la persona deve divertirsi quando più possibile, naturalmente quando più si mette in questo atteggiamento di naturalezza, tanto più rende.
    Se invece fa eccessiva richiesta delle proprie forze c’è un crack.

    Carmine Rizzo

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    1. L'ansia è un grande problema, soprattutto perché spesso le alte aspettative appartengono ai genitori e quindi si tratta di una pressione che viene dall'esterno ed è poco gestibile da parte del piccolo atleta. Ecco perché risulta molto importante definire degli obiettivi chiari e realistici, che diano la giusta motivazione, la giusta spinta, senza creare ansia o false aspettative. Con l'atleta piccolo deve essere il genitore, insieme all'allenatore, a capire cosa è realmente raggiungibile da parte del bambino e puntare a quello, anche se vuol dire fare solo un passetto minuscolo.

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    2. Non necessariamente la pressione "viene dall'esterno" ( proibizione ) può essere interna al soggetto cioè inibizione.
      Rispetto ai genitori e allenatori etc.
      Nessun genitore educa i figli, nessun maestro educa i figli.
      Il processo educativo ha come soggetto il soggetto stesso.
      L'educazione avviene quando il soggetto progressivamente manifesta le proprie qualità e le proprie risorse. Solamente quando il soggetto si consapevolizza, allora lo può manifestare, ma la consapevolizzazione è molto lenta. Quindi gli altri possono solo occasionare la consapevolezza di se. Una volta avuta la consapevolezza , il soggetto si manifesta. Naturalmente noi siamo autoreferenziali, nel senso che pensiamo che il valore primario è quello che abbiamo stabilito noi. I genitori pensano di dare il meglio ai figli ,cosi facendo vorrebbero il figlio come copia conforme ,se vogliono il figlio uguale a loro si creerebbe una staticità societaria e la società non avanzerebbe mai, perchè se i figli sono uguali ai genitori ,poi i nipoti saranno uguali ai figli e la società non cambia mai. Se ogni genitori fosse capace di ascoltare la novità che nell'umanità viene presentata dal nuovo che nasce, perchè "nasce" significa "nascituro", cioè quello che sta per nascere che è la novità, e non c'è mai una nascita senza novità. La scuola stessa non si accorge molto della ricchezza del soggetto; ha più un orientamento ad omologare i propri alunni ad uno standard, anziché ascoltare la novità degli alunni che non dovrebbero essere chiamati così , perchè significa "alere" , cioè alimentare, mentre gli alunni dovrebbero esprimere il perchè sono delle persone che emettono un proprio suono e bisogna capire il suono che emettono, per capire l'umanità da che parte può andare. Carmine Rizzo

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  4. Il rispetto dei valori, la consapevolezza, le responsabilità e la comprensione, che da genitore ho sempre cercato di insegnare a mia figlia, con mio rammarico, in ambito societario sportivo, non hanno ripagato a livello umano, spesso vengono scambiati per "debolezze" e "utilizzati" per sopperire a situazioni carenti di organizzazione, che non si riescono a gestire, penalizzando i buoni comportamenti e le correttezze che non creano problemi.
    Ho vissuto e cercato di gestire le ansie e le delusioni di mia figlia con buon senso e umanità, fino a rendermi conto che l'esagerazione ha compromesso la sua autostima, perché come ristabilivo la sua serenità interiore (dedicando amore, tempo, impegno e riflessioni interiori), sorgevano nuove situazioni e dinamiche societarie nelle quali la nostra "modalità silenziosa" diventava preziosa per ristabilire gli equilibri.
    Insomma siccome siamo sempre stati pronti a comprendere tutto e tutti e a risolvere i problemi facendo sempre i conti con noi stessi, proprio perché siamo in grado di guardare sempre oltre e nel profondo, non siamo mai stati un "problema" da risolvere per chi di problemi ne ha tanti e si preoccupa di risolvere i problemi a chi li "crea", equivocando i silenzi e i sorrisi con l'indifferenza solo per convenienza.
    Quindi ho imparato che non bisogna sottovalutare il rispetto di noi stessi e dei nostri figli, perché si rischia di rimanere intrappolati in una dinamica anomala dove i pezzi del puzzle devono combaciare e non importa come, quindi è indispensabile insegnare anche quanto noi siamo e dobbiamo essere importanti per noi stessi, e quando serve "comunicarlo" con la necessaria grinta!

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    1. Spesso la "modalità silenziosa" è utile, come dice lei, per ristabilire gli equilibri e la serenità nostra e dei nostri figli, ma purtroppo sempre più spesso sono quelli che invece si fanno sentire (creano problemi) ad "averla vinta". Detto questo, ci sono molte modalità di comunicazione e credo che trovando la modalità giusta (che rispetti noi e le persone a cui ci rivolgiamo) si possano trovare i giusti accordi e le giuste soluzioni ai problemi.
      La comunicazione sincera e rispettosa è fondamentale, nella vita come nello sport, e questo non vale solo per i genitori, ma, in questo caso, per tutte le persone che gravitano all'interno di una società sportiva.
      Grazie del commento, se le interessa si iscriva alla newsletter per rimanere aggiornato sui nuovi articoli.
      dott.ssa Paola Bertotti

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  5. IO SONO SIA GENITORE CHE ALLENATORE DI MIO FIGLIO ED E SACROSANTO .. A ME POI IL DIFFICILE E PROPRIO QUESTO PARLARE DA ALLENATORE E SAPERE QUANDO STO PARLANDO ANCHE DA PADRE FERMARMI E TROVARE DI NUOVO LE PAROLE GIUSTE .. NON E CHE I PAPA NON HANNO LE PAROLE GIUSTE MA SONO SEMPRE FUORI LUOGO .. QUANDO DEVONO DIRE QUALCOSA AI PROPRI FIGLI COME ATLETI ... E DURA MA BELLISSIMO CREDETE .. AUGURO A TUTTI DI AVERE UN ESPERIENZA SIMILE E PORTARE IL PROPRIO FIGLI A UN CAMPIONATO DEL MONDO .. AVERE IL CUORE IN GOLA PER LUI MA NON DIMOSTRARLO SAREBBE UN DANNO .. COMBATTERE CON TE STESSO .. GRAZIE A LUI SONO CRESCIUTO TANTO MI HA INSEGNATO TANTO NELLA VITA QUESTA ESPERIENZA PADRE ALLENATORE ... LE GIOIE I DISPIACERI SONO IN CONTINUO CONTRASTO DENTRO E VIVERE CON LUI QUSI 12 ORE AL GIORNO .. ( LA NOTTE NON CI INCONTRIAMO ) E STUPENDO

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    1. Grazie di questa condivisione, posso immaginare quanto sia emozionante l'esperienza padre-allenatore, anche se a volte si rischia di creare confusione fra i ruoli. Leggo comunque molta consapevolezza su questo punto e credo che questo sia fondamentale per riuscire a "saltare" da un ruolo all'altro.
      Auguro a lei e a suo figlio ancora molti campionati assieme, posso chiederle di che sport si tratta?
      Se le interessa si iscriva alla newsletter per rimanere aggiornato sui nuovi articoli.
      dott.ssa Paola Bertotti

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