martedì 1 novembre 2016

Psicologo clinico e psicologo dello sport...trova le differenze!

Nonostante lo psicologo dello sport sia una figura sempre più conosciuta anche in ambito italiano, ancora oggi, quando affermo di lavorare come psicologa in ambito sportivo, ricevo risposte di questo genere:

“Hanno così tanti problemi gli atleti?”
“Di che problemi vengono a parlarti gli atleti?”
“Gli aiuti a non pensare ai loro problemi così giocano meglio!” (giuro che me l’hanno chiesto!)

Purtroppo alla parola “psicologo” si associa sempre il termine “problema”, anche se, come nel caso della psicologia dello sport, ma non solo, i problemi non sono il punto centrale del percorso.

Lo psicologo clinico o lo psicoterapeuta, per intenderci, quello che tutti immaginano con il lettino nello studio (anche se ormai solo in pochi lo hanno per davvero), è una figura che effettivamente lavora sulle problematiche e sulle difficoltà che il cliente porta in terapia. Nonostante questo a noi psicologi piace molto di più parlare di crescita personale e miglioramento dello stato di salute, anziché di problemi da superare...una prospettiva un po’ diversa!

Se si parla di psicologo sportivo la questione cambia ancora, poiché non si parla tanto di difficoltà da affrontare, ma di abilità da potenziare. Quello che interessa allo psicologo che lavora con l’atleta non è tanto risolvere i suoi problemi (che ci possono essere come no), ma quello di accrescere, tramite l’allenamento mentale, tutte quelle abilità che gli sono utili per dare il meglio di sé. Per esempio, se un atleta mi parla della sua ansia eccessiva subito prima di una prestazione, il mio obiettivo non sarà quello di eliminare quest’ansia, bensì quello di allenare l’atleta a sviluppare la capacità di gestirla.


Quindi anche se le difficoltà le hanno anche gli atleti (in quanto esseri umani) in un percorso di allenamento mentale l’attenzione non è tanto su queste difficoltà, quanto sul miglioramento e sull’incremento delle abilità mentali necessarie alla miglior performance

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